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Errori di impasto: gli impasti troppo morbidi

Gabriele Valdes, consulente Molino Vigevano nel settore pizza, enfatizza l'importanza dell'impasto per il successo di una pizzeria. Un errore comune sono gli impasti troppo umidi, amplificati con idratazioni elevate. Leggi l'articolo e scopri tutti i consigli.

Impasti troppo morbidi? Scopriamo come evitarli con Gabriele Valdes, formatore e consulente nel settore pizza e tecnico esterno di Molino Vigevano.

 

Introduzione

Sebbene il successo di una pizzeria dipenda da molteplici fattori paralleli alla produzione vera e propria di pizza, la realizzazione e riuscita di un buon impasto da proporre alla clientela resta sempre un punto fermo e fondamentale.

Un impasto da pizza ben fatto deve essere interpretato a 360 gradi e non solo come risultato diretto dato dal prodotto sfornato: tecnica di impasto, gestione corretta della fermentazione, manipolazione e stesure concorrono alla riuscita di una buona pizza.

Ma è la standardizzazione e replicabilità la vera chiave del successo.

Lavorazioni errate insieme ai continui cambi di ricetta e procedimenti diventano deleterie quando ci si vuol creare una clientela fedele e affezionata.

Uno degli errori più diffusi nel mondo della pizza, dovuto anche alla scelta di idratazioni sempre maggiori, è rappresentato da impasti troppo umidi e morbidi.

Si parla, in questo caso di acqua libera ancora presente nella massa, in riferimento alle parti di acqua non legatesi alla farina durante la corretta formazione della maglia glutinica.

L’impasto non è correttamente chiuso ma risulta ancora appiccicoso al tatto, sporcando la vasca e le mani, la massa appare umida in superficie ed anche dopo alcune pieghe sul banco si fatica a trovare la corda data da una maglia glutinica correttamente sviluppata. Questo tipo di problematica è ovviamente amplificato quando si lavora con impasti ad alta idratazione (pala e teglia romana, napoletana contemporanea) dove le percentuali di acqua utilizzate superano, spesso abbondantemente, il 65%.

Ma ci sono casi dove anche un’idratazione media può risultare problematica a causa di errori tecnici o condizioni ambientali specifiche.

 

I principali fattori

  1. Il primo fattore è ambientale: l’umidità presente naturalmente nell’ambiente in cui si lavora influisce sulla resa delle farine, aumentando l’igroscopicità delle stesse.
    Un sacco di farina lasciato aperto o conservato in un ambiente eccessivamente umido potrà, in fase d’impasto assorbire quantità di acqua leggermente minori rispetto ad una farina correttamente conservata in condizioni di umidità standard.
  2. Il secondo fattore è legato alla tecnica di inserimento d’acqua nelle impastatrici: qui le scuole di pensiero sono differenti e legate ad esigenze personali ed esperienza lavorativa, ci sono pizzaioli che partono dall’acqua in vasca ed altri che lavorano inserendo per prima la farina. In panificazione e pasticceria si tende sempre a partire dalle farine per aggiungere gli altri elementi d’impasto in successione.
    Così facendo avremo, a monte, un’idratazione definita e programmata, con gli inserimenti di acqua che andranno cadenzati a seconda del tipo di impasto scelto.  Qualora l’impasto apparisse eccessivamente morbido e umido anche senza aver ricevuto la totalità dell’acqua prevista, ci si potrà riservare la possibilità di omettere una piccola parte dell’acqua restante ricalibrando l’idratazione finale in maniera precisa.

 

Parlando di alte idratazioni andiamo a portare l’esempio di una pizza napoletana contemporanea con la sua tecnica di impasto corretta, in questo caso parleremo di impasto diretto.

Partendo dalla farina in vasca, andremo ad aggiungere il lievito di birra insieme ad una quantità di acqua intorno al 65 % di idratazione della farina presente.

La macchina lavorerà per alcuni minuti in prima velocità per idratare la farina e iniziare a strutturare la maglia glutinica, successivamente si passerà in seconda velocità per incordare la massa ed ottenere quella che si chiama” zucca” o “testa d’aglio”.

Una volta ottenuta la corda e senza trovare ancora acqua libera sulla superficie dell’impasto, si inizierà ad inserire la restante acqua della ricetta a piccoli sorsi fino a raggiungere l’idratazione decisa in ricetta.

Ogni singolo inserimento andrà calibrato per fare assorbire l’acqua, non si inserirà altra acqua fino a che non sarà assorbita quella precedente.

Verso fine impasto si inserirà il sale e successivamente, se previsto, l’olio extravergine.

 

Conclusione e consigli

Gli inserimenti corretti di acqua quindi diventano determinanti sia per la qualità dell’impasto che del glutine sviluppato in lavorazione.

Lasciare acqua libera negli impasti significa trovare umidità residua in tutte le fasi successive.

Un impasto troppo umido sviluppa il rischio assorbire troppa farina in fase di stesura, farina che andrà a bruciare in forno apportando amarezza al fondo della pizza.

Inoltre aumenteranno le possibilità di attaccamento alla pala in fase di infornata rendendo il servizio lento e difficoltoso.

Gli stessi condimenti che contengono umidità, uniti ad un impasto troppo morbido e appiccicoso renderanno la gestione delle pizze sul banco più complessa con rischi di cotture non perfette.

La farina Vesuvio della linea Selezioni Speciali di Molino Vigevano è stata studiata appositamente in laboratorio per la produzione di pizza napoletana classica e contemporanea.

Questa farina è lavorabile comodamente sia in media che in alta idratazione grazie al suo ottimo assorbimento d’acqua e si presta ad impasti diretti e prefermenti coprendo così tutte le esigenze di chi produce pizza napoletana.

La Vesuvio è una farina che garantisce una grandissima resa a livello di sviluppo in cottura e sapore con una tenuta degli impasti ottima a garanzia di una standardizzazione corretta del flusso di lavoro in pizzeria.

 

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